Wine Culture
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L'unicità nel Chianti Classico
Testo – Mattia Carzaniga
Foto – Diego Mayon
Da vitigni inerpicati sulle colline toscane nasce il Chianti Classico Lamole di Lamole, frutto di un territorio dove sono la natura e le persone a rendere il vino speciale. Per chi, da tutto il mondo, viene in questa cantina a farsi raccontare la sua storia.
Il Chianti è restato determinato e sia. Dallo Spedaluzzo fino a Greve; di lì a Panzano, con tutta la Podesteria di Radda, che contiene tre terzi, cioè Radda, Gajole e Castellina, arrivando fino al confine dello Stato di Siena». Così scriveva il granduca Cosimo III de’ Medici nella sua Dichiarazione dei confini delle quattro regioni, definendo il distretto del Chianti: come macrozona, ma anche come vino destinato a diventare e restare il più famoso di Toscana. Era il 1716, e quelle molli colline trasformavano l’immaginario per sempre. A ridosso di quella strada che unisce Greve a Panzano sorge Lamole, uno dei cuori di questa terra. Lamole è Chianti Classico nella sua massima espressione, tanto che il più famoso Chianti Classico qui prodotto merita un rafforzativo: Lamole di Lamole. È il vino che definisce il territorio, e il baluardo dei Tenimenti Toscani di Santa Margherita.
Lamole ti accoglie con la piazzetta della chiesa, che dà sulle vigne lì sotto e poi tutt’attorno, inerpicate su per altezze inconsuete. Oggi conta 86 abitanti, tra autoctoni e artisti stranieri portati qui dal richiamo del Chiantishire. Ma la sua storia ha radici antiche come le sue vigne. È del 1250 la prima attestazione del Chianti come area e come vino, quel “gallo nero” che oggi ne è il simbolo, leggenda confermata tre secoli dopo nell’affresco del Vasari nel Salone dei Cinquecento a Palazzo Vecchio. Lamole è una piccola isola sulla rotta delle due città rivali, nel ’200 sorge il castello che controlla la strada e monitora la storica inimicizia: Firenze contro Siena. Osserva dall’alto delle “lamule”, da cui prende il nome, ovvero quelle lame di terra formate per erosione sulla prima roccia. È la pietra che contraddistingue la geologia della zona, e che determina ancora oggi molte delle caratteristiche di questo vino. La tenuta Lamole di Lamole conta 173 ettari, di cui 57 di vigne e 4 di uliveti. L’unicità nel Chianti Classico si spiega anche solo guardandosi attorno: «Qui non ci sono vigne pettinate», scherza l’enologo Andrea Daldin, da più di vent’anni collaboratore di Lamole di Lamole. È vero: le piante si aggrappano alla collina, si fanno spazio nella terra sassosa e cercano luce sui lati meno ombrosi. Il Chianti Classico di Lamole di Lamole è il prodotto di questa miscela. «L’altitudine, tra i 400 e i 650 metri, è il primo tratto specifico dei nostri vigneti», spiega Andrea Daldin. «Poi viene il clima, con temperature medie che non superano mai i 33°C. Da maggio a metà settembre c'è inversione termica, mentre tra metà settembre e il periodo della vendemmia vi è escursione termica (si tratta questa della fase più delicata in quanto è il periodo vegetativo della pianta, durante il quale ne vengono definiti i profumi). E poi c’è il terreno, unico per conformazione: la base è il macigno del Chianti, con blocchi di galestro che lo sfaldano fino a diventare sabbia». Ne risentono i sapori: «Intensi, profondi. Quando invecchia, il Chianti Classico acquisisce sentori di spezie, note balsamiche».
Il resto lo dice la linea del tempo. Nel ’600 il borgo tocca i mille abitanti, comincia l’esportazione del vino. Nel 1716 nasce qui la prima zona vitivinicola al mondo. Il Chianti ormai viaggia ovunque, nel mercato inglese è un boom. Il vino si definisce e cambia: prima solo Sangiovese in purezza, poi nell’800 il barone Ricasoli ne decreta la ricetta l'80% di Sangiovese, più un 20% di altre varietà. Il Sangiovese resta però l’ingrediente principale e principe, capace com’è di trasferire al Chianti Classico quelle proprietà che lo rendono inconfondibile. È un’uva che, più di molte altre, cambia e si definisce a seconda del terreno in cui il vitigno viene coltivato. E solo quando cresce in alcune particolari zone della Toscana sa rivelare quei sentori di frutta e fiori dolci che danno al vino la sua nota distintiva e matura. All’inizio del ’900 il Chianti si espande a dismisura, serve un consorzio di tutela, nel 1924 i produttori riconosciuti sono 32, e otto anni dopo viene sancito lo status di “Classico”, per distinguerlo da quello delle aree che Chianti non sono. La Storia serve a collocare il Lamole di Lamole che beviamo oggi, frutto diretto di quel lungo iter. «Nel 2004 è stato avviato un progressivo recupero dei tipici vigneti a terrazza», spiega l’enologo. «Il Campolungo, che dà anche il nome al Chianti Classico Gran Selezione, è con i suoi dieci ettari il più esteso. Il definitivo rinnovamento dei terrazzamenti nel 2009 ha tenuto ancora più conto della natura del terreno pietroso, della necessità della pianta di penetrare in profondità, dell’importanza di essere ben esposta al sole: come succedeva fin dall’inizio». A Lamole di Lamole lavorano poco più di dieci persone tra vigne e cantina, molte di queste sono volti storici del gruppo: il fattore è qui dal 1978. «Sono loro a fare il Chianti Classico, non noi enologi. Far lavorare figure che sono da decenni l’anima di questa terra, riscoprire la tipica coltivazione “ad alberello”: tutto questo significa fare impresa prima di tutto sociale, promuovere la cultura del territorio», nota Andrea Daldin. «Da noi oggi lavorano anche giovani toscani: sentono su di sé in prima persona l’eredità di questo vino e del luogo che lo produce».
Anche il biologico non è un trend, ma dialogo con la storia di questa valle. «Avremo la certificazione il prossimo anno, ma non sarà un aggettivo da aggiungere all’etichetta solo perché oggi va di moda. Il biologico dev’essere un mezzo prima che un fine, riguarda il modo naturale di lavorare: significa soprattutto “non fare”, o meglio lasciar fare alla natura secondo il proprio corso. La modernità dei procedimenti è fondamentale: da anni stiamo portando avanti uno studio sugli induttori di resistenza, che stimolano la pianta a proteggersi, ed è quindi la pianta stessa a sviluppare gli antiossidanti necessari con cui sostituire progressivamente sostanze come il rame e lo zolfo. Ma la sostenibilità non è una scoperta degli ultimi anni: Lamole di Lamole è un territorio che da sempre punta sull’ecologia, sul ritmo del lavoro applicato prima di tutto a quello della natura. Anche la scelta di tenere bassi i numeri della produzione – sono circa 230.000 le bottiglie di Chianti Classico prodotte ogni anno – è il risultato diretto di questa filosofia: sfruttare il territorio solo per quello che può dare, ascoltandolo senza piegarlo al proprio bisogno».
Oggi Lamole di Lamole è terra d’eccellenza vinicola riconosciuta. «E pensare che numerosi studiosi hanno stabilito già tempo fa che il clone di Sangiovese grosso di Montalcino deriva direttamente da quello di Lamole». Adesso però il dialogo con le guide è aperto, il pubblico più attento e consapevole. «Arrivare ai tre bicchieri del Gambero Rosso con il Chianti Classico base è segno che il prodotto è già di suo un’eccellenza, anche senza il passaggio alla riserva: non succede a tutti». Il Lamole di Lamole riposa nelle botti di rovere, sotto le volte del ’300 della cantina storica, rimasta esattamente com’era allora. «I nostri vini fanno pochissimo barrique, per fortuna la moda del legno è passata e ci ha dato ragione: anche questo vuol dire lavorare in modo naturale, lasciando che il vino si esprima da solo».
Lamole di Lamole è anche accoglienza e relazione diretta con chi passa da queste colline e vuole scoprire che cos’hanno da raccontare. La cantina è aperta a tour, visite, percorsi che partono dalla vigna e arrivano fino alla degustazione. «Per capire Lamole di Lamole bisogna cominciare proprio dalla terra, seguire il lungo processo che porta dal grappolo d’uva al bicchiere», dice Sebastiano Pedani, responsabile dell’hospitality. È nato a pochi chilometri da qui, ha lavorato per anni nei vigneti, si sente che per lui divulgare questa storia è un fatto prima di tutto personale. «Finché la gente non vive l’esperienza di camminare tra i filari di vite, non può capire». Oggi la cantina attira turisti italiani e moltissimi stranieri, gli stessi che apprezzano questo vino in ogni parte del mondo. «Gli americani restano i più numerosi e anche i più aperti e curiosi, il Nord Europa è una scoperta degli ultimi anni, insieme a mercati come la Cina, la Germania e il Giappone. Ci sono anche i francesi, o almeno solo quelli non troppo campanilisti», scherza. Dalla vigna storica, il tour si sposta dove avviene la vinificazione, poi nelle cantine, quindi nella vinsantaia (il Vin Santo è un altro storico prodotto dell’azienda), alla fine nel salotto di Lamole di Lamole, come è stato ribattezzato, tra assaggi di Chianti Classico e prodotti gastronomici locali. «I tour operator sono sempre più interessati ad associare al turismo questo tipo di esperienza diretta del territorio. Nel periodo in tutti i sensi più caldo, ovvero da aprile a ottobre, arriviamo a un paio di tour al giorno. Il futuro è sempre più rivolto alle famiglie, presto verranno proposti pic-nic tra le vigne alla fine della visita, sarebbe bello attuare un progetto sulla vendemmia con le scuole locali per tenere viva ancora di più la cultura enologica». Il salotto è anche un punto di osservazione sul gusto che cambia: «Il vino è piacere, prima di tutto. Oggi si beve meno ma meglio, si è più disposti a conoscere e imparare. I giovani, in particolare, sono molto più consapevoli. È strano dirlo da italiani, ma nel nostro Paese negli ultimi 15-20 anni si era persa la tradizione del vino. Oggi i ragazzi stanno riscoprendo l’importanza di prodotti che nascono a pochi chilometri da dove sono nati loro stessi, e sono anche più informati su quello che scelgono. Fare divulgazione enogastronomica significa anche insegnare a bere meglio, e a correre meno rischi». Mentre chiacchieriamo, una coppia di spagnoli scende da una macchina, come in un film di turisti sotto il sole della Toscana. «Possiamo avere informazioni sulla cantina e sul vostro vino?». Detto fatto. Lamole di Lamole è anche questo, una sosta improvvisata durante il viaggio, per portarsi a casa un ricordo in più.
Dalla strada si vedono le colline su cui si affaccia Lamole, con le vigne e i volti dei suoi abitanti, gli operai impegnati a potare i rami secchi e la signora che abita al numero 1 della piazza centrale, ormai un’istituzione del luogo. Si dice che la migliore risposta alla domanda «Perché questo vino è così speciale?» ce l’abbia proprio un anziano signore, memoria storica del borgo: «Che dire: l’è bòno!».